A cura di Paolo, dello Staff di Tales of Nerds.
Come già in molti
sapranno, l'11 luglio 2015 è mancato Satoru Iwata, il precedente
presidente di Nintendo. Forse non tutti però sono a conoscenza di
chi fosse quest'uomo, del suo genio rivoluzionario e dell'impatto che
ha avuto non solo nell'industria videoludica, ma nel ridefinire lo
stesso concetto di videogioco.
Satoru Iwata (1959-2015)
inizia la sua carriera nel 1983 all'interno dello studio HAL
Laboratory, collaborando allo sviluppo di titoli come Balloon Fight,
EarthBound, arrivato solo recentemente in occidente, e la famosa
serie di titoli dedicati a Kirby. Ha anche partecipato alla creazione
di Pokemon Oro e Argento, che in molti ricorderanno con affetto e
della serie Super Smash Bros.
Solo nel 2000 Iwata entra
a far parte di Nintendo e nel 2002 ne diventa presidente. Senza
troppi giri di parole, lo sviluppatore giapponese riuscì
letteralmente a salvare la società dal baratro in cui si trovava per
via dello scarso successo del GameCube, introducendo nel mercato due
console all'epoca rivoluzionarie: il DS e la Wii. Quest'ultima,
ricordo, è allo stato attuale la seconda console fissa più venduta
al mondo, preceduta solamente dalla Ps2, e con un numero di pezzi
venduti assai superiore rispetto a Ps3 e Xbox360 e che si aggira
intorno alle 100 milioni di unità; mentre per il Nintendo Ds se ne
contanto circa 150 milioni.
Qual è dunque il motivo
di tale successo? E, soprattutto, qual è il contributo di Iwata al
mondo dei videogiochi?
Innanzitutto, con Iwata
come presidente, Nintendo si è potuta finalmente aprire davvero al
mondo occidentale. I pochi possessori del GameCube ricorderanno, con
amarezza, la scarsissima scelta di titoli disponibili nei nostri
paesi rispetto a quelli acquistabili in Giappone. E anche se era
possibile modificare la propria console per vie non proprio legali in
modo da poter leggere anche i prodotti nipponici, restava comunque il
problema della lingua. Iwata invece sapeva parlare l'inglese, potendo
quindi presentare di persona i propri lavori in occidente durante le
varie conferenze. Una sua frase rimane particolarmente memorabile:
"On my business
card, I am a corporate president. In my mind, I am a game developer.
But in my heart, I am a gamer."
Ma c'è
dell'altro.
A
capo di Nintendo, Iwata ha cambiato per sempre il concetto di
videogioco. La sua idea era quella di creare qualcosa che fosse in
grado di superare barriere come sesso, età, nazionalità. Di fare il
modo che il videogioco non fosse un privilegio per pochi appassionati
solitari, ma un mezzo per portare gioa, stupore e divertimento
all'interno dei più diversi contesti. E questo mezzo era Nintendo
Wii, una console in grado di intrattenere vecchi e bambini, ragazzi e
ragazze, orientali e occidentali. Il videogame era diventata
un'esperienza meritevole di essere provata da tutti, un bene da poter
condividere con chi si voleva, oppure da godersi in solitaria.
Perché,
pensandoci un attimo, non è sempre stato così.
E,
guardando i titoli disponibili delle console concorrenti, sia per
quanto riguarda le console attuali, sia quelle precedenti, il target
di utenza è tutt'altro che neutro: di sesso maschile e relativamente
giovane (ma non troppo, dati i contenuti spesso violenti). Per gli
scettici, fate una rapida ricerca su internet e troverete che spesso
agli sviluppatori viene imposto di utilizzare nei loro giochi un
protagonista maschile per ragioni di marketing. Per citare un caso,
nel titolo Remember Me dei Don't Nod, agli sviluppatori fu dato
questo “suggerimento”, che loro, dimostrando un certo coraggio (e
coerenza...“they didn't nod”), declinarono, continuando ad
utilizzare una protagonista femminile.
Un
ulteriore appunto va fatto sul multigiocatore locale, uno dei punti
di forza della Wii e della WiiU, e ormai sempre più raro e meno
considerato dagli sviluppatori attuali. Basti pensare che persino
l'ultimo titolo dedicato all'idraulico italiano, Super Mario 3d
World, non supporta il gioco online, ma solamente la cooperativa
locale, per una scelta specifica da parte di Nintendo. Oppure
all'ultima fatica di Sakurai, il nuovo Super Smash Bros, che supporta
tantissimi tipi di controller differenti (tutti Nintendo ovviamente),
in modo da dare a tutti la possibilità di giocare, anche se si è in
molti.
Di
certo però Iwata non era un super-uomo, e di scelte infelici ne ha
fatte anche lui: 3ds e WiiU non hanno raggiunto le aspettative
previste, e il presidente di Nintendo, per risollevare la società,
era arrivato anche a dimezzarsi lo stipendio. La sua idea di
videogioco ha dovuto fare i conti con un pubblico sempre più
esigente, con le enormi e calcolatissime campagne pubblicitarie
concorrenti, con i tempi di produzione sempre più ristretti. Si è
dovuti rinunciare un po' alla qualità, di cui fino a qualche anno fa
il marchio Nintendo era sinonimo, e rivedere in parte politiche del
tipo “meglio un prodotto in dieci giorni che dieci in un
giorno”. Inoltre, alcuni dei giocatori più fanatici dei brand
Nintendo si sono sentiti in qualche modo “traditi” nel vedere
come la società abbia deciso di non occuparsi solo più dei
videogiocatori veri e propri. È proprio in questa situazione, quando
tutti erano pronti a vedere cosa avrebbe fatto Nintendo per
rimettersi in gioco, che ci ha lasciti Satoru Iwata.
Ma,
mi chiedo, era così sbagliata la sua idea di videogioco...l'idea
che, prima di essere definito arte o quant'altro, il videogioco debba
innanzitutto portare gioia, stupore e divertimento...di utilizzare il
videogame come media per creare una cultura di massa basata su queste
semplici cose?
Perché,
forse, più che arte, il videogioco è solo un videogioco. L'arte
probabilmente si vede quando il suo creatore riesce, utilizzando
questo mezzo, ad esprimere qualcosa di sé, un'idea o un
sentimento... realizzando così un'opera che non è mai compiuta
completamente, ma la cui creazione continua ogni volta che qualcuno
la osserva, facendo risuonare quella parte dell'anima che l'artista
ha messo nel suo lavoro; in tanti modi diversi quante sono le persone
che ne fanno esperienza.
L'uomo
che ci ha lasciati, insomma, non era semplicemente il presidente di
una società, uno sviluppatore o, come amava definirsi, un giocatore;
ma anche un artista, che ha dedicato la sua vita, sacrificando spesso
le sue risorse personali, a ciò che credeva.
Resta
da vedere come chi gli succederà porterà avanti l'eredità da lui
lasciata, contribuendo a sua volta al mondo dei videogiochi.
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